DA

 

«CORTI CIRCUITI»

 

con prefazione di Filippo Tommaso Marinetti

 

I Edizione 1938 (Carabba - Lanciano)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’originalità degli aeropoeti sorella dell’originalità  degli aeropittori aeroscultori aeromusicisti aeroarchitetti, ci porta infinitamente grande ed allo stratosferico mentre la poesia dei tecnicismi di altri futuristi non meno ispirati ci porta nell’infinitamente piccolo della biochimica dei commerci e delle metamorfosi industriali di un canneto mutato in seta o di un latte mutato in vestito.   

 

G. Tedeschi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Così straricca la poesia italiana abbraccia con stupefacente varietà la nobile calma togata meditabonda dei paesi tradizionali il passo franco un po’ militare avanguardista e di sotterranei ansiosi esplodere dei futuristi, trasfigurati di tecnicismi sotto lo sguinzaglia mento in cielo degli aeroposti le cui parole in libertà sommano sintesi policromia simultaneità e senso divino.

 

L’aeropoeta futurista calabrese Geppo Tedeschi a’ già dato a l’Italia molti versi liberi e parole in libertà che perfezionando i principi di sintesi e di dinamismo in questi CORTI CIRCUITI offrono al lettore intelligente e sensibile splendide originalissime fusioni di valvole, fusioni viola – arancione, cioè bruciate nel tragico della vita virilmente spremuta fino ad esplodere con lo splendore solare delle cose calabre sicule africane.

 

Il gusto l’arte e le esperienze della sintesi nel forte ed ispirato futurista Geppo Tedeschi suscitano in me, vari paragoni divertenti:

 

Talvolta la sua poesia, breve e musicalissima, mi fa pensare a certi suonatori ambulanti in fiera e villaggi armati di strumenti fonici come i guerrieri medievali erano armati di ferro morte ardire crudeltà.

 

La sua poesia suona sinteticamente e simultaneamente tutta con piedi ginocchia, pancia, testa, mani e bocca. Per calamitare cosmicamente anime e corpi primaverili la poesia del poeta Geppo Tedeschi è talvolta paragonabile all’insieme delle tastiere dei grandi organi delle cattedrali modernizzate che io definisco, con parola nuova, politastiera e che permette di fare nelle più ampie navate maree di pensieri e di sentimenti in cerca d’infinito.

 

Lo fiutano e spaccando le vetrate diventano cielo musicale e rumorista nel cruscotto di un aeroplano,questa politastiera d’azzurri.

 

Alla politastiera del sintetico dinamico poeta futurista Geppo Tedeschi i giovani poeti futuristi, augurano, con me, le più alte quote della Gloria.

 

 

 

F.T.Marinetti

 

Accademico d’Italia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salto all'ostacolo

 

 

 

Travaglio , olimpionico, nel cuore dello stadio.

 

I muscoli mi si accaniscono,

 

sotto la cute in danza.

 

O' fretta di farmi sensualità, guerriera,

 

vampa di oleandro

 

nel sentiero olezzante dei miei sussulti

 

d'acciaio.

 

La velocità mi sinfonizza tutto

 

e mi ghermisce con le sue mani d'aria pura.

 

Sento la luce senza peso,

 

il ciglio senza ombre.

 

 

 

 

 

 

 

Il giorno è precipitato

 

 

 

Tonfo terribile

 

«Aiuto aiuto»,

 

urlano le campane

 

con i polmoni

 

ingorgati di suono.

 

Il giorno che si trastullava

 

sui cornicioni

 

della sera

 

è caduto

 

in seguito ad uno starnuto

 

sopra gli spilli

 

di una montagna panoramica

 

incendiandosi tutto.

 

Lagrime grevi di zolfo.

 

Frantumi incandescenti

 

di odori

 

fanno calca

 

su stuoie di verdi litanie sonore

 

TIRI TIRIIIIIII …

 

Le locuste in concistoro

 

si faccettano tra di loro

 

appendendo come ad un santo

 

sulle siepi coronate di spine,

 

qualche goccia di preghiera.

 

 

 

 

 

 

 

La morte di Marconi

 

 

 

Vinto lo spazio scricchiolò tra le Tue braccia

 

e si avvinse ai Tuoi piedi

 

la materia da TE detronizzata,

 

fedele accoccolandosi in cuspide

 

al Tuo cerebro studioso.

 

Ebbe fondi tremori crescenti sempre di toni,

 

l’armonica essenza della forza

 

e si asservì, accasciata, anch’essa al Tuo volere.

 

D’allora la morte ti fu alle spalle,

 

perché, aveva paura del Tuo genio immortale,

 

Duce de l’infinito,

 

scrutatore di veri.

 

Aveva paura. Perciò Ti giunse, improvvisa,

 

come usa fare coi grandi.

 

Ti distendesti, allora, nel sonno

 

senza respiro,

 

solennizzandoti tutto.

 

Comprese il trapasso l’operosa materia,

 

docile nelle Tue mani,

 

e ruggendo, per l’etere,

 

fuggì scrollandosi la magia.

 

Scandirono voraginose il Tuo nome,

 

in massa, le vigili antenne,

 

sotto la curva ansia degli attoniti cieli,

 

e su gli oceani infiniti

 

le innumeri ciurme in viaggio,

 

di silenzio, corposo, incupirono il mare.

 

 

 

 

 

Così distrattamente

 

 

 

Graffiature di prime campane

 

dentro l’acqua piana del fiume

 

colore zafferano.

 

La notte s’affloscia respirando mal

 

ne l’alba

 

di febbraio,

 

odorosa di garza al lisoformio.

 

Sta per nascere il sole

 

tra un cespuglio di nuvole blu

 

così piccolo piccolo

 

da sembrare un garofano.

 

Appena nato me lo metterò nell’occhiello

 

con una foglia di buon vento.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A cuore brillo

 

A LORENZO RUGGI

 

magnifico animatore

 

di poesia oscillante

 

 

 

 

 

Fiamme fiamme d’allarmare

 

Fiamme fiamme improvvise di mosto,

 

pettirossi

 

mattutini

 

nell’azzurro di quest’oggi.

 

Chiamo i pampini a raccolta

 

chiamo i tralci per la danza

 

chiamo il «Cecubo» aggressivo

 

il glucosio

 

dardeggiante.

 

L’orizzonte mi barcolla.

 

Mi barcolla, tra le mani, ubriaca la pianura.

 

io m’inebrio, io m’inebrio

 

Voglio affogare

 

voglio affogare

 

d’entro i tini, colmi d’ «ALBANA».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Borgata dopo la pioggia

 

 

 

Strade grinzose di pioggia

 

e morbide come la ricotta

 

di maggio.

 

Se ci cammini con le scarpe chiodate

 

le ferisci tutte.

 

La fontana e l’abbeveratoio

 

due piccoli acquerelli

 

illuminati spesso

 

dalla lucerna di una rosa

 

rossa

 

che si spegne ad ogni tossire

 

di vento,

 

il fiume

 

vecchio cuculo sempre sveglio,

 

appollaiato dietro il bavero alzato

 

della siepe.

 

Una pennellata di glicine

 

tra un muricciolo

 

di verde.

 

Un ramo di cielo azzurro

 

su cui canta a marzo

 

la primavera.

 

E su una vallata di fiori

 

l’arco di sette colori.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mussolini parla

 

 

 

Ansito impressionante di torace

 

puntato in faccia al mondo

 

Chioma di fili a 100 mila volta

 

ravvivati su l’avvenire

 

Gorgo insondabile di volontà energetica

 

MUSSOLINI parla

 

La materia si adombra accasciandosi

 

in grembo alla pace dell’inerzia

 

Odore di cervello bruciato

 

Ronzio di corrente ad altissima tensione

 

Minaccia di corto circuito

 

la TUA testa d’acciaio con dinamismi di mondi

 

Minaccia di corto circuiti o CONDOTTIERO ROMANO

 

Ozono acido azotico

 

Fusione allarmante di pali e tralicci

 

Non bastano gli isolatori

 

Non toccare NON TOCCARE

 

Radioantenna or si rifiuta al tempo

 

masticando energia

 

Schiocca gioiosamente cromatica

 

la Sua scintilla parola facendo massa col sole

 

BLOCCHEREMO ANCHE VITTIORIE

 

TRA LE VORAGINI DEGLI ABISSI.

 

 

 

 

 

 

La morte del poeta Savarè

 

 

 

La marcia era pesante di piombo

 

tra le dune di sabbia e di tende.

 

Fardello di mete sconosciute il tuo zaino polveroso

 

di sole e di battaglia.

 

Volevi a qualunque costo impadronirti dell’illimite

 

tra l’abbraccio materno

 

della pallottola

 

garofano scarlatto,

 

che fermò nella sua danza di lotta,

 

il tuo respiro d’aquilone.

 

Sterminò in te il brivido di tutto il cielo africano

 

divampò azzurrina

 

sul dorso delle cammelliere ondulanti

 

la tua parola sempre nuova

 

e il tempo ti coprì acino ad acino

 

della sua quadratura.

 

Ora l’eterno astrale movimento

 

t’à fatto fulcro principale delle sue forze

 

Ti à rivestito di fulminea precisione di idee

 

vasto presagio per nuove leggi di mondi,

 

futurista SAVARE’.

 

 

 

 

 

 

Falegname ubriaco

 

Ieri sera

 

vidi laggiù,
sotto un’arcata blu

 

di cielo
il vecchio falegname
che ubriacatosi

 

col mosto
di un tramonto di agosto,
voleva liquefare

 

la colla
col fuoco di una lucciola.
Poi, nel ripassare,
lo rividi

 

inchiodare sbadatamente,
pezzi di notte
e di luna cadente.

 

 

 

 

 

Ciao

 

 

 

Il rigo bianco

 

della strada mi attende .

 

Ciao

 

casa natia

 

e trattolino di ruscello

 

che copi eternamente

 

il periodo contorto

 

di una spatola di ulivi .

 

Tornerò ,

 

quando potrò ,

 

a rivedere

 

il Santuario nevoso della montagna mia

 

con alte vetrate di pini,

 

lo sbrendolino

 

della villetta comunale

 

con qualche scarabocchio di verde

 

e sullo spiazzale tranquillo,

 

il solito punto interrogativo

 

dello zampillo

 

 

 

 

 

 

 

Al balconcino

 

 

 

La sera sciama, ronzando, dal quadrante

 

del giorno,

 

convesso d'ombre infantili.

 

Le sette pesano, come argilla,

 

sul campanile minuscolo

 

quanto un accento circonflesso.

 

Tra poco fioriranno le stelle,

 

sopra i due punti ammirativi dei cipressi.

 

Due punti ammirativi che il paesino ,

 

analfabeta , non sa leggere.

 

Come non sanno nemmeno intendere

 

quella croma d'alluminio

 

dello stagno

 

che sillaba l'ultimo sole

 

ad un branco disperso d'oche.

 

 

 

  

 

Rossini

 

 

 

Musica di Rossini.

 

Smisuratissima musica tricolore.

 

30 mila originalità al minuto secondo,

 

in gara olimpionica,

 

per strangolare

 

il vecchio paesaggio – contrappunto.

 

Balzi, rimbalzi, barbagli, sconquassi

 

di note contro note.

 

Luce ombra, luce ombra,

 

eccentricità, straeccentricità,

 

in volo – grazia per l’universo.

 

Salienti incalzanti, salienti incalzanti apoteosi

 

italiche

 

a tutto vapore, a tutto vapore.

 

Vieni vieni, Rossini, con la tua nuova orchestra

 

celestiale.

 

Ti rivogliamo con noi futuristi,

 

galante de l’armonia!

 

 

 

 

 

 

 

Bacchica

 

 

 

Quanti quanti lampioni di pattuglia punitiva,

 

sono innanzi all’osteria.

 

NON CI CASCO NON CI CASCO!!

 

CI STO DRITTO. CI STO DRIITTOO.

 

Viva il fiasco, sempre pieno.

 

Viva il ballerino mondo che mi vellica le gambe.

 

Caldarroste e pecorino

 

cazzottatemi d’odori.

 

Coi broccati della sera ora mi vesto, ora mi vesto

 

ora mi vesto

 

e, a braccetto della vite, andrò a spasso.

 

Non ci casco. Non ci casco.

 

Dolce liquore di malvasia suonami piano,

 

suonami piano.

 

Con queste mie tempie fisarmoniche,

 

che mi battono affrettate ,

 

una canzone di Bacco in Toscana.

 

Voglio udirla con le mie amorose

 

botti colme di quel buono.

 

Abbasso gli astemi barcollanti,

 

su i bicchieri alla brindata

 

ed avanti con la scritta,

 

dai colori d’arlecchino,

 

viva il mondo tutto vino!

 

 

 

 

 

Guido Stellingwrff

 

giornalista pilota

 

 

 

Tra scoppi di ciao,

 

tinto d’inchiostro e di cielo,

 

ti videro i tuoi compagni di lavoro

 

volteggiando salire

 

e non pareva loro che a tanta luce , lassù,

 

si potesse morire.

 

Giù la vita affusolava ricordi,

 

profili a spalla del tempo,

 

e pesava,

 

(come pesava) lo spazio sonoro d’autunno,

 

sulla tua casa, sventolante al sole,

 

tra rotative di vigile attesa.

 

Buttato in un angolo il lavoro tracolla

 

ormai ti sei messo a sedere

 

nei crocicchi della vita lattea

 

per fare da sentinella amorosa,

 

ad Ivo Olivetti,

 

rimasto il futuro a scrutare

 

sospeso tra cielo e mare.

 

 

 

 

 

A graffi di matita presbitero

 

 

 

Tachicardia

 

dell’estate danzante dietro i tacchi delle mie scarpe

 

affebbrate di polverone.

 

Pizzica il giorno

 

moribondo

 

tremanti note d’arcobaleno

 

e curvi sguardi di greggi e pastori.

 

Spenzolerà ben presto dal soffitto de l’osteria

 

silenziosa osteria di paese

 

la solita lampada

 

a petrolio

 

col lucignolo a mitria di vescovo

 

zoppicante ad ogni istante

 

come quel cavallo laggiù

 

che in una impervia bordura d’erbe

 

si dondola si dondola il sesso.