DA
«ROSOLACCI TRA IL GRANO»
I edizione 1943 (Gastaldi Editore – Milano)
Ode al mio terrone lume a petrolio
Nessuno più t’accende.
Eppure se metto l’orecchio,
accanto al tuo stoppino,
vela afflosciata
senza barcaiuolo,
odo stormire favole ancora.
Odoravi d’altari a mezzo maggio
quando salivi di fiamma,
filando come un’Ava.
A te gloria,
famiglio pensieroso
di molte generazioni,
giostra delle falene,
rosolaccio dei campi della notte,
dell’ombra mietitore,
garibaldino di guardia,
della mia dolce casa,
caduto con onore!
Spigolatore
Il vecchio spigolò,
sino alla sera,
come se pregasse,
guardando, a tratti,
nella lontananza.
C’era tanto silenzio
Intorno a lui
Che si sentiva, quasi,
il palpitare,
del cuore degli uccelli.
Sole
Coppia di flauti,
di lucente canna,
ragazzo intona
su aderbata balza.
Da casetta remota,
pesca infanzia
perduta un vecchio.
E placida colomba,
sfiondando da frascame
d’uliveto,
lascia bianco di ala
alla pianura.
Invito
Frangi, per oggi,
la marcia,
canuto pellegrino,
e siedi,
con zucca e bastone,
sotto quest'ombra
garrula
di pino.
Se ài sete
fresca e tersa
è la fontana
e se vuoi musica,
per dormire,
laggiù c'è la chitarra
della rana.
Litania di calli
Solennissimo
vecchio agricoltore,
tutto graffii
e viottoli di rughe,
in curva sosta
crepuscolare
su un affossato mento
di campagna.
Sta, sottovoce
trasmettendo a Dio,
con la corona bianca
dei capelli,
una terrosa litania di calli
Ragazzo fuori di casa
Improvviso silenzio di grilli,
parlottio,intrigato,
di ruscello,
pause, profonde,
di rane,
tremori d’Ave Maria.
Un monello à tirato
dentro il recinto del cimitero,
piccolo quanto un bacio di bambina,
una fiondata di lucciole.
Pescatore d’illusioni
Perché marci ed affanni
inutilmente,
perdendo sangue e carne
ad ogni svolto?
Son miraggio le cime
su cui punti.
E’ men pazzo di te,
laggiù,
il vasaio
che passa i giorni
a ricontar, nel sole,
col bastone ronchioso,
i giuochi d’ombra.
Conducente in viaggio
Vinto dal mesto Salve Regina
degli zoccoli
del mulo,
il conducente in viaggio,
barba da spiga,
giberne,
moschetto,
a poco a poco
scivolò in ginocchio,
davanti l’ostensorio
del sole
appena tramontato.
Salia la luna, tutta argento antico
da brividi verdastri
di giardino.
Era una luna
grande, grande, grande,
quanto la ruota bianca di un mulino.
Ci volle il vento
Un barroccio passò per la frazione,
distesa sotto l’ali della notte,
recando colmi sacchi di granone.
Dormiva il guidatore
e la cavalla,
sbandava a tratti, come un ubriaco,
evocando la pace della stalla.
Mentre il lumino,
da più ore acceso,
ad una stanga sbadigliava appeso.
Palpitava l’ agosto
sui sentieri
e qualche rana ripetea il suo lagno,
senza fermate,
da un remoto stagno.
«Svegliati»,
gli gridò alto il mugnaio,
ancora all’opra,
dal mulino roco.
«Avrai strada di monte tra non poco!»
Ma il vecchio non si scosse.
Tra il chiarore,
del curvo, tremolante firmamento,
il suo capo, nel sonno abbandonato,
sembrava un gran gomitolo d’argento.
Corse allora il ponente e gli aprì i lumi
a furia di gorgheggi e di profumi.
Erano invece i grilli ed i ranocchi
Parve d’udire,
dentro sonno e veglia,
al vecchio
prete
un canto di campane.
Un canto di campane a mattutino.
Balzò dal letto,
aperse la finestra.
Erano,invece, i grilli
ed i ranocchi
che tinnivano,
a gola dispiegata,
sui bordi, erbosi,
della via maestra.
Mia nonna
Gioielleria,
filante,
del passato.
Frusciante sottana
blu.
Favola che non c’è più.
Tela fiamminga
Notte d'ottobre.
Assiso al focolare,
scoppiettante minuscola pianura,
ravvivò, il veglio,
il taglio della falce
come se andar dovesse a mietitura.
E a mano e mano
che saliva il chiarore
della gracile vita dei sarmenti,
gli brillavano gli occhi di passato
e il capo aveva meno ondeggiamenti.
Il cretoso lumino dal deschetto,
sulla parete s'affrettò a ritrarlo
con la fiamma a cappello
di folletto.
Tramonto sulla campagna
Calò, avvampando,
il sole ad occidente.
Di finissime sete,
rosse e gialle,
si ornò, ridente,
allora la campagna,
e damaschi indossarono
le valli
ed ebbe il suo broccato
la montagna.
Il vecchio campanile
del villaggio,
alto prelato in mitri d’argento,
in fretta benedisse il paesaggio.
Grano di corona
O’ desiderio ardente
di purezza .
Ma più marcio
e più cado nel peccato.
Dammi la forza, Signore,
d’imboccare, ogni dì,
la dritta via.
Mezza luna
Già ridiscende,
polveroso, il colle
gregge, belante,
con pastore antico.
Da pianura
lontana
ultimo colpo
sale di zappa
e, a giugno mietitore,
frescure d’ombre,
reca la vallata.
Ritaglio domenicale
Spaccapietre
inginocchiato,
mani a colomba sul petto,
davanti ad una rossa
Crocefissione di sole.
Prega a cuore
Dipanato,
mentre il cielo
blu accende, sulle labbra,
un primo salmo
di stelle.
Prime nuvole
La voce del fiume,
profonda,
pampini
insanguinati,
sulle fiancate
dei colli.
Già all’acquitrino
approda
la pernice.
Spalanca autunno
le pure pupille
e il tempo
stride e preda.
Questa arietta d’autunno
Questa arietta d’autunno
mi spinge, come veliero,
verso una luce
d’infanzia.
Dolce è tornare
al tempo trascorso
e rivedere,
con la mente, i volti
di quei tanti tanti che furono.
Ma più dolce
è potere singhiozzare
tra i capelli d’argento,
pensieroso,
del vecchio genitore.
Infanzia,
cara infanzia,
tu remota mi sei
e dei tuoi doni,
ad usura,
io presi poca cosa.